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(20/01/2018) A.S. Roma

Pellegrini: Trigoria è da sempre casa mia, tornare è stato bellissimo. L'alternanza in campo? Fa bene a tutti

Lorenzo Pellegrini, centrocampista dell'AS Roma, ha rilasciato una lunga intervista al settimanale della Gazzetta dello Sport SportWeek.
 
Papà Tonino, suo allenatore da bambino inizialmente all’Italcalcio e poi all’Almas, è stato il primo a farla giocare. Ma come attaccante: allora è vero che i genitori non capiscono niente dei figli? «Un po’ sì, glielo dico sempre! Con me era più severo che con agli altri, dovevo fare tutto alla perfezione perché gli andasse bene. Ora mi è rimasta questa mentalità: non mi accontento mai. Abbiamo litigato tanto: facevo di testa mia e lui mi riprendeva. Una volta sto per calciare una punizione quando papà mi ordina: “Mettila in mezzo!”. Avrò avuto sei anni, ma gli rispondo: “No, tiro”. Faccio gol e, di proposito, vado a esultare davanti a lui, che era furioso! Gli voglio un bene dell’anima».
 
Tesserato dalla Roma a 9 anni. Un predestinato? «Avevo fatto dei provini e, quando mamma e papà videro nella posta una busta con il logo della società, immaginarono il contenuto. Mi chiesero di leggerla ad alta voce: non capivo le parole dall’emozione. Arrivato alla fine, guardai papà in cerca di una spiegazione. “T’hanno preso! Vai a giocare con la Roma!”, mi disse. Trigoria è da sempre casa mia. Qui conosco tutti, ho visto arrivare e andare via migliaia di ragazzi. E quando a 18 anni ho firmato con il Sassuolo ero contento, sapevo che sarei cresciuto. Ma tornare è stato bellissimo».
 
Come è diventato centrocampista? «Mi fece provare il tecnico dei giovanissimi regionali, Mirko Manfrè. Andò molto bene e la stagione seguente – a 14 anni – mi presentai come centrocampista nei giovanissimi nazionali, allenati da Vincenzo Montella: lui mi ha insegnato il resto».
 
A 15 anni, però, le tolgono l’idoneità sportiva per un’aritmia cardiaca. Ha temuto per la carriera? «Questa vicenda è stata ingrandita senza che lo volessi. A un mio compagno di squadra era venuta la mononucleosi e l’aveva attaccata anche a me e a un altro, ma non ce ne siamo accorti subito. E così, allenandomi in quelle condizioni, ho mandato il cuore in affanno e i medici mi hanno fermato. Ma sapevo che era solo questione di tempo».
 
È allora che ha conosciuto la sua futura moglie Veronica? «Dico sempre che è stata lei a guarirmi. I medici avevano previsto una pausa tra 6 e 18 mesi, invece ho incontrato lei dopo tre e sono tornato in campo quello dopo. La serenità è fondamentale, anche per accelerare una guarigione. Con Veronica c’è stato subito un buon feeling anche se all’inizio non era facile vedersi, abitavamo lontanissimi: io a Cinecittà e lei a Casal Palocco. A 16 anni, senza macchina, significava almeno due ore con i mezzi. E quando sono andato al Sassuolo, non ci ha pensato due volte a venire con me. A maggio ci sposiamo».
 
A soli 21 anni… Ha letto i consigli che le hanno scritto su Instagram? «Sì (ride, ndr), ma quando sento di fare una cosa, la faccio. Sono molto testardo. Con Veronica conviviamo già da tempo. Mi sento pronto a questo passo e non potrei farlo con nessun’altra persona che non sia lei!».
 
Anche quando Rudi Garcia l’ha fatta esordire in A, nel 2015, si sentiva pronto a giocare nella Roma. Invece si ritrova al Sassuolo… «Non smetterò mai di ringraziare Garcia, ma sono andato al Sassuolo consapevole di quello che stavo facendo: volevo crescere, diventare uomo. Roma è una grande piazza, non semplice da gestire anche per un romano. Serve quel pizzico di personalità che io credo di aver limato al Sassuolo».
 
E lì segna il primo gol in A: alla sua terza partita, esattamente come fece De Rossi, ma contro la Samp di Montella. Che le ha detto? «Per ora quel gol resta l’emozione più grande mai provata a livello calcistico. Alla fine del primo tempo, a Genova, eravamo già 3-0 per noi ma Di Francesco ha subito spento il mio entusiasmo, avvisandomi: “Ora non fare quello che si accontenta, perché ti levo dopo due minuti!”. Mentre Vincenzo mi ha fatto i complimenti. Però poi ha aggiunto: “Proprio a me? Sarei stato più felice se avessi segnato a un altro”. È un grande allenatore, gli auguro il meglio».
 
Quando a giugno fa il suo esordio in Nazionale, contro il Liechtenstein, è abbracciato a De Rossi al momento dell’inno: un caso o le serviva il suo sostegno? «In vita mia ho avuto due idoli. Il primo è Ronaldinho, perché entrava in campo sempre sorridendo, con la voglia di divertirsi. Lo ripeto sempre: ricordiamoci che il calcio è un gioco e se siamo sereni mentalmente rendiamo anche meglio. L’altro è Daniele e lo ha confermato aiutandomi per tutta la partita: mi diceva di stare tranquillo, di osare. Oltretutto con Ventura si giocava con il 4-2-4, quindi il centrocampo era tutto nostro».
 
L’estate scorsa torna in giallorosso dopo aver rifiutato le proposte di Juve e Milan. Ha spiegato di aver scelto per la “fede calcistica” e perché «una cicoria tanto buona si trova solo a Roma». «Vero, la cicoria qui è migliore! Scherzi a parte, con i procuratori abbiamo valutato tutte le opzioni, perché all’inizio erano interessate altre squadre. Ma quando si è fatta avanti la Roma… In famiglia, poi… figuratevi mio padre… Il club ha esercitato la “recompra”, quindi non ha dovuto trattare con il Sassuolo, è stato più facile per tutti. E con Di Francesco avevo già trascorso due anni importanti».
 
Sarebbe stata più dura indossare la maglia della Juve o della Lazio? «C’è stato anche l’interesse della Lazio ma, essendo romanista da sempre, è stata una scelta serena».
 
Perché si è preso la maglia numero 7 di Conti? «Adesso lo chiamo Bruno, ma lui qui ha fatto la storia e per me era una leggenda. Mi sono emozionato quando ha commentato: “Finalmente qualcuno che se la può mettere”».
 
Una squadra di romani de’ Roma. C’erano Totti-De Rossi-Florenzi, ora De Rossi-Florenzi-Pellegrini. «Ho provato a chiedere di battere tutti i record e schierarne quattro. Anche perché Checco sta alla grande! Sarebbe stato fichissimo condividere lo spogliatoio con lui, ma c’è tutti i giorni. È stupendo lo stesso».
 
Che giocatore è Pellegrini? «Devo migliorare soprattutto nella fase difensiva. Il mister mi ripete sempre che correre in avanti è facile ma è correre all’indietro che fa la differenza per un centrocampista. Le mezze ali di questa generazione devono essere “tuttocampisti”. Ci vuole più aggressività nel portare via la palla all’avversario. Di sicuro mi piace tirare in porta, giocare tra le linee, inserirmi negli spazi. Spero che mi venga anche bene».
 
Dicono anche che il suo punto di forza sia la testa, che ha equilibrio. «Prima il calcio era meno fisico, più di talento. Ora è fondamentale curarsi, conoscersi, stare al 100% in tutte le partite, anche se non si gioca. Più che di equilibrio, però, parlerei di serenità: facciamo un lavoro che è la nostra passione, per noi la cosa più bella del mondo.Perché viverla male ed essere arrabbiati? Bisogna venire al campo col sorriso e ricordarsi che siamo un esempio per tanti bambini».
 
Viene preferito a Strootman? «Ma no, credo che quest’alternanza in campo faccia bene a tutti. A proposito di serenità: ognuno ha il proprio spazio e di conseguenza questo spogliatoio è tanto, ma proprio tanto unito».
 
Non ci sono troppi Pellegrini in questa squadra? C’è anche Luca, romanista pure lui. «Infatti ci chiamano spesso con il nome sbagliato! Lui è un terzino sinistro fortissimo. Farà bene, ha 18 anni ed è stato già convocato in prima squadra. Ma sì, allarghiamo la famiglia dei romani!».
 
Adesso che un paio di gol li ha segnati, hanno smesso di lamentarsi gli amici che l’hanno comprata al Fantacalcio? «Un po’. Prima ti dicono con entusiasmo: “Ti voglio bene ma mi sei costato un sacco di fantamilioni”. Oppure: “Pur di averti, ti ho pagato come Icardi!”. Poi, alla prima ammonizione, si lamentano: “Mi sei costato mezzo punto”. Li sconsiglio: non compratemi, altrimenti litighiamo!». E addio serenità.

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