Dopo le anticipazioni di ieri riguardanti l'intervista rilasciata da Francesco Totti a Revista Líbero, ecco altre dichiarazioni dell'ex calciatore dell'AS Roma.
La Roma e la Lazio: "Per me Roma è la Roma. La Lazio non esiste. Non posso fare paragoni. Questo non significa che sto parlando male di loro, tutt'altro. Per me la Roma è unica come i suoi tifosi. Sono passionali, sentimentali, danno tutto per la maglia".
"Mia madre era laziale perché lo era anche mia nonna. Giocavo alla Lodigiani. I miei genitori e mio fratello Riccardo mi chiamarono per dirmi che c'erano queste due opzioni. Non c'erano dubbi per me, anche perché mio padre e mio fratello erano della Roma. Ho scelto la Roma, anche se volevano che andassi alla Lazio perché avrebbe pagato. Fortunatamente è stata la scelta migliore".
Il rapporto con Cassano: "Cassano è un fratello minore. È venuto a Roma per me, perché diceva che fossi il suo idolo. Lo voleva la Juve ma ha scelto la Roma. Voleva giocare con me, era innamorato del mio calcio. Non ha avuto un'infanzia facile, così quando è arrivato a Roma l'ho portato a casa con i miei genitori. In allenamento massacrava tutti, a eccezione di me Batistuta e Samuel. Zebina, Delvecchio, Tommasi… quando sbagliavano un passaggio gli diceva: "Sei un pippone, vai a lavorare in farmacia". Ti fa capire che personalità avesse. Era giovane e sfidava i trentenni. È vero che aveva torto, perché devi sempre avere rispetto...ma lo conoscevamo e sapevamo già com'era. L'abbiamo semplicemente accettato. A volte era persino esagerato, perché non aveva limiti, filtri, freni. Quando cominciava non la smetteva. Con Capello ha litigato milioni di volte. Si inseguivano in mezzo al campo durante l'allenamento. Ho visto scene incredibili, ma Fabio lo adorava perché sapeva di avere a che fare con un fenomeno. Capello voleva buoni giocatori, con carattere, e Cassano lo era".
L'addio al calcio: "Sono coerente con me stesso, con il mio fisico e la mia testa. So che c'è un inizio e una fine. Avrei fatto bene alla Roma anche oggi ma non perché sono Totti, ma per l'ambiente, i giocatori, l'esperienza, il marketing, per tutto. E non avrei dovuto nemmeno giocare ogni partita, ma uno sì e tre no. Venti minuti in una gara, la Coppa".
Vincere con la maglia della Roma: "È speciale perché si vince ogni 20 anni. Purtroppo è la realtà. Quando la Juve vince, festeggia solo una notte, la domenica. Tutto finisce il lunedì. Invece, quando abbiamo vinto con Capello, a Roma lo scudetto è stato celebrato per tre o quattro mesi. Una festa senza fine... Perché non siamo abituati. Non siamo il Real Madrid o il Barcellona, che vincono anche in Europa. Se vincessimo tre campionati di fila, forse con il terzo si fermerebbe questa euforia".
Monchi e la Roma: "Ha avuto molti alti e bassi. Non mi sono mai sentito importante nel progetto, anche se lui per me è un dirigente leale, sincero, di grande professionalità. Il cambiamento che ha vissuto non è stato facile. È andato via da Siviglia, dove ha avuto una carriera di 30 anni, per venire a Roma, dove tutti si aspettano il massimo. E' arrivato in un momento unico nella gestione americana e penso che sia stato mal consigliato. Non si è circondato delle persone che volevano davvero lasciargli fare il suo lavoro. Ha fatto affidamento su altri che pensavano più a se stessi".