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(10/12/2021) A.S. Roma

Pellegrini: La Roma non si spiega, si vive. Questo non è un posto di passaggio

Lorenzo Pellegrini, calciatore dell’AS Roma, ha rilasciato un’intervista a Players Tribune.
 
“Per un bambino come me nato e cresciuto in un quartiere come Cinecittà, ma possono essere altri quartieri, è tutto. Quello che sento è cercare di trasmettere. Io so cosa si prova e ho iniziato a vivere questa cosa quando tanti miei compagni che ora sono qui non sapevano neanche cosa fosse la Roma magari. Una delle più grandi motivazioni che io ho tutte le mattine quando entro qui dentro è cercare di fargli capire che cosa è la Roma, cosa vuol dire giocare nella Roma. La Roma non è uno scherzo, non è un posto di passaggio, la Roma è la Roma. Non si spiega, si vive. Ogni volta che entro dentro lo Stadio Olimpico ho i brividi. Questo è quello che voglio far provare a tutti i miei compagni.
 
Io della mia infanzia ho un ricordo molto bello e sereno, con la mia famiglia. Il quartiere dove sono nato, Cinecittà, è una grande casa. Tutta la mia famiglia è nata e cresciuta a Roma ed ho un legame molto particolare con la mia famiglia. Io ho 25 anni, ho già una moglie, due figli, ho bisogno di questo, di identificarsi in una famiglia, che ha bisogno di tornare a casa ed avere il suo posto sicuro.
 
E’ sempre stato un bisogno per me avere qualcosa tra i piedi con il quale giocare. Ho sempre giocato con i piedi, mai con le mani, anche con le macchinette facevo lo stesso. Ho iniziato nella squadra della Banca d’Italia, perché mio padre lavorava nella stamperia della Banca d’Italia e mio padre era il mio allenatore. Dopo tre anni mio papà si è spostato da lì ed è diventato dirigente dell’Almas Roma. L’Almas è stata per me una famiglia, come ho già detto: mi giravo da una parte e vedevo mio papà, mi giravo dall’altra parte e vedevo mio cugino con la sua squadra che si allenava e mi capitava a fine allenamento di andare a fare la partitella con loro, mi divertivo.

Mi è arrivata questa voce, che sarebbero venuti degli osservatori della Roma per vedermi. Avevo otto anni ed ero emozionato. Sono andato a fare questi provini, da casa mia la distanza era notevole, poi con il traffico… Mi ricordo che uscivo da scuola di corsa, mangiavo e mi cambiavo in macchina… In quel periodo, verso luglio, arrivò la lettera della Roma che aveva deciso di prendermi. Per me fu una liberazione e tutto cambiò.
 
Sentivi un po’ questa bella, positiva responsabilità di essere un giocatore della Roma. Magari uscivo con gli amici, loro mangiavano qualcosa in più mentre io non lo facevo perché ero un giocatore della Roma e non potevo sbagliare queste cose. Questa è una cosa alla quale già pensavo: la responsabilità di portare la Roma fuori da Trigoria.
 
A luglio andai a fare le visite mediche di routine, quelle che si fanno ogni anno. Ed uscì fuori che avevo troppi battiti irregolari durante la giornata. Mi spiegarono tutto, sottolineando che tutti hanno battiti irregolari, fino ad un tot però. Io invece ne avevo fino a venti volte tanto. Quindi ero sempre affaticato dopo ogni cosa che facevo, anche un piano di scale mi faceva venire il fiatone, anche spostare una cassa d’acqua mi provocava il fiatone. E mi dissero che l’unico modo per curare questa cosa era fermarsi. E’ stato difficile, perché ovviamente non me lo aspettavo e perché era un momento per me importante. Un ragazzo di 16 anni si aspetta di fare le visite, sbrigarsi e tornare a giocare. E invece io ho fatto le visite, ci ho messo tre ore e non un’ora e dopo queste tre ore mi è stato detto che dovevo fermarmi. Per un ragazzo di 16 anni sentirsi dire questo non è facile. Sono stato quattro mesi fermo, loro mi avevano detto di riposare 6-8 mesi. Io ogni giorno ascoltavo il cuore e dopo quattro mesi non ho più sentito l’aritmia. Avevo la sensibilità di percepire il tipo di battito con le mani ed un giorno, dopo quattro mesi, non ho più sentito l’aritmia e, dopo averlo detto ai miei genitori, andai a fare la visita, mi sentivo bene e non avevo più questa aritmia. Cerco sempre di vedere le cose in modo positivo e anche una cosa che può sembrare brutta magari mi sta insegnando qualcosa che mi servirà per il futuro oppure mi sta facendo da linea guida per il futuro. Quel periodo lì fu così, mi ha fatto crescere tantissimo, mi ha fatto incontrare quella che adesso è mia moglie e madre di due bambini e mi ha mentalmente aiutato tanto. Da dopo quel periodo lì ho fatto un cambio di testa e di mentalità, sapevo quello che volevo: giocare a pallone e basta.

Negli ambienti calcistici si hanno dei momenti in cui hai particolari sensazioni. Noi giocavano un’infrasettimanale con la Primavera e scoprii che allo Stadio c’era Rui Garcia, al quale sono molto legato e ci sentiamo ogni tanto. Mi fece i complimenti e mi disse che era molto contento e che mi vedeva sempre più pronto. Parole che lasciavano sperare in un debutto in Serie A. Rudi Garcia passava sempre nelle stanze dei giocatori prima delle partite e a noi giovani diceva: “Mi raccomando tenetevi pronti che non si sa mai”. Prima della partita contro il Cesena però mi parlò diversamente: “Stai pronto – mi disse – perché vedrai che oggi…”. Andai al campo molto carico e teso e intorno al 65esimo mi fece entrare. E’ stato speciale perché poi mi è tornata in mente tutta la strada che avevo percorso, tutte quelle volte che non ho mollato, tutti i momenti difficili che avevo vissuto e che erano serviti per realizzare il mio sogno. Che poi non è finito perché siamo solo all’inizio.
 
I primi anni a Roma non sono stati facili, la squadra era fortissima. Io mi facevo trovare pronto, entravo, a volte giocavo e le cose stavano andando bene, perché poi siamo arrivati in semifinale di Champions. Abbiamo vissuto una favola tutti quanti. Ricordo tutto, a partire dai gironi, con il primo posto conquistato. Già dalle partite dei gironi sentivamo che c’era qualcosa di speciale nell’aria. E’ stato un po’ brutto al Camp Nou, quando abbiamo perso 4-1 contro il Barcellona, perché dal campo non avevamo la sensazione di meritare quella sconfitta. Le prime due reti furono due nostri autogol, poi il gol di Edin fu un segnale. Al ritorno eravamo tutti convinti di vincere. Tutti tranne uno. Kostas Manolas, che segnò poi il 3-0. Giuro. Eravamo qui a fare colazione a Trigoria, c’era quella sensazione lì, tutti eravamo sicuri di vincere, tranne uno che era convinto che avremmo preso altri 4 gol. Ma lui era sempre così. A Trigoria erano tutti sicuri di vincere 3-0 contro il Barcellona. Impossibile ma è stato possibile. Impossibile descrivere quelle emozioni. Ad oggi penso che siamo stati dei pazzi a crederci in quella maniera lì. Tutti però erano sicuri di vincere 3-0.
 
La prima partita da capitano è stata Inter-Roma. L’emozione più grande che ho avuto. Ogni volta che metto la fascia, che sistemo gli scarpini e poi entro in campo mi guardo intorno perché sembra tutto così surreale. Mi piacerebbe che i miei compagni sentissero questa responsabilità e questa emozione che ti fa dare di più. Minimo che posso fare è cercare di ridare tutte le emozioni che la Roma mi fa vivere a chi lavora qui tutti i giorni, a chi si fa il mazzo tanto per farci stare bene e farci essere tranquilli. Il mio vero obiettivo è far vivere le emozioni che io provo anche a tutti loro e so che questo si può fare solamente vincendo, restando se stessi”.
 

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