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(07/06/2025) A.S. Roma

Ranieri: Il ruolo dell'allenatore è cambiato moltissimo. Un altro Leicester? Me lo auguro

Claudio Ranieri, Senior Advisor della Roma, ha rilasciato delle dichiarazioni ai microfoni dell'Associazione Italiana Allenatori Calciatori, a margine della cerimonia di premiazione della Figurina d'Oro 2025. Ecco le sue parole. 

Qual è la qualità che non può mancare in un tecnico per diventare un allenatore capace?
"È difficile su due piedi dirlo. Sicuramente la lealtà coi giocatori, dire che cosa si pensa anche se è qualcosa di brutto. Va capito chi è più permaloso, se c'è da fare un rimprovero generale... Ma ho fatto sempre il rimprovero a tu per tu, faccia a faccia. Non ho mai fatto un rimprovero per dire: 'È colpa tua se abbiamo perso, guarda che cosa hai fatto'. Non mi è mai piaciuto. Ho sempre cercato di migliorare il materiale e ho avuto la fortuna, soprattutto negli ultimi anni, di avere parecchi video delle azioni per mostrare le cose fatte bene e quelle fatte male. Perché credo che lo stimolo di far vedere le cose fatte bene sia più importante di quello che invece riguarda le cose fatte male. Naturalmente, poi, nelle partitelle si ritorna su quell'errore, cercando di migliorare. Esistono giocatori che capiscono dopo una volta, altri che, purtroppo, non riescono a capire. Se si può, quel tipo di giocatore si cambia; altrimenti, gli si fanno tante carezze e si cerca di andare avanti".
 
Lei ha attraversato cinque decadi in panchina, dagli Anni Ottanta ad oggi: come è cambiato il ruolo dell'allenatore?
"È cambiato totalmente. Bisogna sempre aggiornarsi. Quando venivo esonerato, andavo sempre in giro per l'Europa a vedere come lavoravano gli allenatori, perché credo che sia importante. So che ora Coverciano porta chi fa il supercorso a vedere alcuni giorni come allenano gli altri tecnici e credo che sia importante per aprire la mente. Ho iniziato alla Vigor Lamezia e ho fatto tutti i gradini; a Cagliari hanno creduto in me, abbiamo fatto Serie C, B e A. In Spagna l'apertura mentale è totale, noi siamo un po' schiavi della tattica, tant'è che giocatori forti vengono qui e fanno fatica a integrarsi. Lì, in Inghilterra e in Francia, la tattica è importante ma non speciale come qui. Io davo dei concetti base e cercavo, in base alle qualità dei giocatori, di integrarli l'uno con l'altro".
 
La scuola italiana di allenatori è tra le poche universalmente riconosciute e apprezzate. Vista la sua ampia e importante esperienza internazionale, che cosa rappresenta la nostra scuola e la differenzia dal modo di allenare degli altri Paesi?
"Teniamo troppo in gabbia i giocatori. Fa bene essere aperti, vedere bene tutto, pur mantenendo quel che siamo. Senza restare col paraocchi. Certo, quando dicono che siamo 'catenacciari' non date retta: quando vediamo altre partite e c'è una squadra più forte, bisogna tenere i dieci sotto la linea della palla. Italiani sì, ma con una grande apertura mentale".
 
Lei ha iniziato ad allenare ai tempi della favola del Verona, che ha appena festeggiato i 40 anni da uno storico scudetto. Ed è arrivato al culmine della carriera 9 anni fa, al Leicester, quando ha centrato quella che è stata riconosciuta come l'impresa più straordinaria del football moderno: ma ci potranno essere altri Osvaldo Bagnoli e altri Claudio Ranieri nel calcio business del terzo millennio?
"Quando sono andato lì, il Leicester aveva appena esonerato l'allenatore ed era in ritiro. Era chiamato 'squadra yo-yo', una squadra che saliva e scendeva. Quando sono arrivato, il presidente mi ha chiesto la salvezza. E piano piano siamo arrivati ai quaranta punti. Ho cercato di non caricare di responsabilità i ragazzi. Passo dopo passo abbiamo creato quella simbiosi tra allenatore, squadra e pubblico meravigliosa. Mi auguro che ci siano altri Leicester. Sarà difficile? Mi auguro di no. Spero che una squadra trovi la sua stella polare e che, nello stesso anno, le altre grandi dello stesso campionato non abbiano una continuità di risultati. Me lo auguro, perché questo è il bello del calcio".

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