Gianluca Mancini ha rilasciato un'intervista a La Gazzetta dello Sport. Il difensore della Roma ha raccontato il suo percorso di crescita, il momento della squadra giallorossa e non solo. Ecco le parole del centrale.
Che emozione è stata il primo gol in Nazionale?
"Bella. Ogni volta che canto l'inno con i compagni ripenso alle estati al bar in cui lo cantavo abbracciato agli amici, vedendo la nazionale. Quando indosso questa maglia ho ripensato a quando giocavo con loro o a casa, indossando la maglia azzurra. È il sogno di ogni bambino, anche se poi contava solo vincere".
Da una prima volta ad un primo posto. È sorpreso di questo primato della Roma?
"No. Le vittorie ce le siamo sudate, conquistate. E poi conosco il mister, le sue qualità e doti caratteriali. Rispetto all'Atalanta è cresciuto come esperienza internazionale, ma la passione è sempre altissima. In alcune gare forse abbiamo avuto un po' di fortuna, ma non abbiamo rubato niente a nessuno. C'è sempre un motivo se le cose vanno bene o male".
Gasperini, però, ha gettato acqua sul fuoco, dicendo che non siete ancora da Champions.
"Penso lo abbia detto perché siamo una squadra nuova, che ha cambiato tanto, compreso un allenatore con metodologie diverse. Dobbiamo migliorare in molte cose, è un percorso il nostro. In due mesi non costruisci una grande squadra, non fai grandi campionati. Ma le sensazioni sono positive. Ci saranno momenti difficili, ma questo è un gruppo solido, unito, che saprà tenere duro".
Le manca non aver giocato mai la Champions?
"Arrivarci è il nostro obiettivo. Una società come la Roma, con questo tifo, deve fare la Champions. Negli ultimi due anni ci siamo andati vicini, in Europa League abbiamo fatto una finale e una semifinale, siamo navigati. Mi manca, ma la vivo in maniera tranquilla, concentrato sul presente".
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Anche lei è maturato tanto, non solo in campo ma anche negli atteggiamenti...
"Prima pensavo a tante cose che mi toglievano energie. È stato fondamentale Ranieri che mi ha fatto riflettere, mi disse che da avversario mi odiava. Ma anche De Rossi mi aveva fatto capire che così perdevo lucidità. Loro mi hanno aiutato, io ci ho pensato su e mi è entrato in testa. Poi sono sempre rompiscatole, competitivo, ma ora gestisco meglio le cose che mi possono portar via energie".
Roma-Inter domani sera che gara sarà?
"Sfida tosta, anche se nel calcio di oggi non esistono più partite facili. L'Inter è la squadra più forte del campionato insieme al Napoli, anche se forse i nerazzurri sono leggermente superiori, anche per quello che hanno fatto in Europa negli ultimi anni. Ma ci faremo trovare pronti, è una partita che ci farà capire di che pasta siamo fatti".
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La partita la può risolvere Dovbyk?
"Magari, ce lo auguriamo tutti. Di Artem si dice sia timido, ma non è così, l'abito non fa il monaco. È uno tosto, che dà sempre tutto, una risorsa. In generale se vedo un compagno triste o un po' abbattuto cerco di caricarlo. Con lui è successo a Lecce, quando gli dissi: "O prendi un giallo per una spallata o fai gol". E andò proprio così: gol decisivo, dopo aver spostato un armadio come Baschirotto".
Lei è un idolo della gente. Le mette pressione?
"No, mi dà una carica pazzesca. Il nostro pubblico è spettacolare, io giocherei sempre all'Olimpico. Ma so che se c'è qualcosa che non va devo prendermi le mie responsabilità, metterci la faccia. È una cosa positiva, giusta. Dietro di noi c'è una città che ci tiene tanto. E dobbiamo farlo anche noi".
Tra le tante voci resiste quella secondo la quale lei, Cristante e Pellegrini gestiate lo spogliatoio.
"Non ho mai sentito nulla sui senatori del Milan, della Juve o dell'Inter... Questa cosa fa un po' male, perché non è la verità. Lo spogliatoio lo gestisce il mister, il ds e il presidente, noi facciamo i calciatori. Al massimo quando arriva qualcuno nuovo possiamo fargli capire cosa è la Roma, dove è arrivato. Ma questo non vuol dire comandare uno spogliatoio".
La gioia e il rammarico più grande?
"Gioia sicuramente la vittoria della Conference: screditata da tutti, noi sappiamo quanto è stato difficile vincerla. Ripenso ai festeggiamenti, a tutta quella gente. Il dolore è invece Budapest, dove mi capitò di tutto: l'assist per il gol di Dybala, l'autogol che mi rotola sempre in testa e il rigore sbagliato, il primo calciato in vita mia. Spesso dopo mi svegliavo sognando di ribattere il rigore, quella finale resta una pugnalata".
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È pronto invece a restare a Roma a vita?
"Io qui sto bene, in città c’ è un amore reciproco con i tifosi. Resterei molto volentieri, ma non voglio pormi ora il problema. Penso al presente, a migliorarmi. E a non smettere mai di imparare".