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Il fatto quotidiano

(11/12/2016)

Roma, così lo stadio divide Cinque Stelle e Berdini

Un milione di metri cubi di acciaio, vetro e cemento da costruire. Un investimento privato da un miliardo e 600 milioni di euro. L’opera più costosa in programma per gli anni a venire in una città, Roma, dove nell’ultimo quinquennio sono andati in fumo 30 mila posti di lavoro nell’edilizia. Sta in queste cifre la radice del conflitto che da 2 anni aleggia attorno alla costruzione dello stadio della As Roma a Tor di Valle.
 
Per i contrari è un ecomostro, per chi lo vuole un progetto essenziale a rianimare l’asfittica economia cittadina. Di sicuro è un’operazione in cui il ciclo del mattone per decenni re indiscusso dell’economia cittadina, riprova a dettare la linea alla politica romana. Con l’aggiunta della pressione di tifosi e radio sportive locai, esaltati e poi frustrati da tonnellate di promesse, finora puntualmente disattese, su uno stadio di proprietà della società giallorossa. La disputa sul moderno “Colosseo” del calcio è riesplosa, fortissima, negli ultimi giorni. Da una parte c’è l’assessore all’Urbanistica del Campidoglio, Paolo Berdini, che si dice contrario alla realizzazione del progetto nella veste attuale. Sul fronte opposto, il resto della giunta di Virginia Raggi che, insieme ai consiglieri 5Stelle, sono più orientati al dialogo con la società ed il costruttore Luca Parnasi per apportare delle modifiche. Il nodo, in realtà, non è lo stadio in sé sul quale lo stesso Berdini si dice favorevole, ma la costruzione del restante 80% del master plan, che prevede 3 torri progettate dall’archistar Daniel Libeskind una dovrebbe ospitare Unicredit – e un centro commerciale. Per l’assessore “non rientrano nel Piano Regolatore” e quindi non vanno fatti. Mentre nei due incontri organizzati tra Campidoglio, As Roma e la società Eurnova di Parnasi, che dovrebbe realizzare l’impianto sui terreni acquistati a Tor di Valle, si è parlato solo di possibili limature di volumetrie. Qualche piano in meno per i grattacieli in cambio della riduzione di due opere di mobilità (un ponte e il prolungamento della Metro B), pagate sempre dal privato, ma giudicate non necessarie viste le altre infrastrutture di trasporto in programma.
 
Una mediazione dettata anche dal timore che, se il Comune non approvasse il progetto entro febbraio 2017 in conferenza dei servizi, la Roma avrebbe le carte in regola per intentare una causa milionaria. Stime dell’avvocatura comunale parlano di un obolo che costerebbe circa 400 euro a ogni romano se Palazzo Senatorio perdesse, in sede giudiziaria, l’eventuale partita. Ma come si è arrivati a questo muro contro muro? Un consigliere capitolino, in forma anonima, racconta: “Se dovevamo dire di no la scelta andava fatta subito, non a due mesi dal termine della conferenza dei servizi”. E invece, come ricordano altri esponenti pentastellati, la direzione imboccata dalla giunta il 16 settembre, con una memoria firmata proprio da Berdini prescrive di “avviare tutte le attività finalizzate all’approvazione del progetto” del nuovo stadio a Tor di Valle. “Dice di essere contro questo progetto, ma non ha fatto nessun atto per fermarlo, anzi”, sussurra un altro consigliere. Berdini intanto non molla la linea oltranzista, fedele alla sua storia di tecnico con un lungo passato a sinistra, al tempo stesso allievo degli urbanisti storici che hanno denunciato la speculazione a Roma non certo privo di relazioni tra i costruttori romani. La sua voce si è levata fuori dal coro del partito anti-cemento anche in altre occasioni: vedi candidatura alle Olimpiadi 2024, bocciata dalla giunta ma da lui definita “un ’occasione per la città”. La sua posizione in giunta vacilla, tra smentite e tentativi di apertura ai consiglieri M5S – “per me sono come 29 fratelli”, ripete l’assessore – in attesa che la Raggi decida se ritirargli la delega. Potrebbe avvenire già prima di Natale.

A. Managò


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