Il derby degli opposti

Se fosse possibile smontare un pezzo di Mourinho e un pezzo di Sarri e poi riunirli in un unico soggetto ne verrebbe fuori un allenatore fantastico. Di Mourinho prenderemmo la concretezza e l’immediata capacità di entrare nella testa dei giocatori, di Sarri la visione e la capacità di trasformare il gioco in spettacolo. Il laziale allena da lunedì alla vigilia della partita, il romanista gli subentra alla vigilia e resta in carica fino alla conferenza stampa post-partita. Uno è istruttore, l’altro conduttore, la differenza fra i due è il tempo. Mourinho ci mette un secondo a capire la chiave d’accesso della sua squadra, Sarri no, ha bisogno di settimane intere. Il lavoro di Mou è mentale, sottilmente psicologico, il suo regno è lo spogliatoio, quello di Mau è tattico, il suo regno è il campo. Il derby li mette a confronto troppo presto, almeno per quanto riguarda la Lazio. Che sta vivendo la stessa fase difficoltosa attraversata dalla Juve quando Sarri prese il posto di Allegri: non è più la Lazio di Inzaghi e non è ancora la Lazio di Sarri e davanti a questo bivio la squadra tentenna. Già a Empoli, in Serie B, all’inizio della sua scalata, ci volle tutta la fermezza di Fabrizio Corsi per consentirgli di andare avanti, nonostante le pesanti e continue sconfitte iniziali. Lo stesso accadde a Napoli: nacque una creatura meravigliosa, ma nelle prime settimane di gestazione le perplessità non mancarono. Solo in Inghilterra ha fatto in fretta, gioco e vittoria (l’Europa League) subito, ma quello è un calcio diverso dal nostro (…)