Monchi, ds dell'AS Roma, ha rilasciato un'intervista al magazine The Tactical Room.
Quando la Roma l’ha assunta, lo ha fatto per ricreare il modello del Siviglia? "Da quando sono arrivato, ho avuto tutta la fiducia e l’autonomia che avrei potuto richiedere. Sono a mio agio con la dirigenza, ho un buon rapporto con James Pallotta, il direttore generale e l’amministratore delegato. In questo senso non posso lamentarmi. Con Pallotta parlo praticamente tutti i giorni e spesso vado a Boston o viene lui qui. Ogni settimana facciamo delle riunioni esecutive e restiamo in contatto, non è assolutamente un handicap il fatto che viva a Boston, che non sia qui, perché la comunicazione è frequente e come ho detto spesso viene lui a Roma o vado io lì".
Quando la Roma l’ha assunta, lo ha fatto per ricreare il modello del Siviglia? "Da quando sono arrivato, ho avuto tutta la fiducia e l’autonomia che avrei potuto richiedere. Sono a mio agio con la dirigenza, ho un buon rapporto con James Pallotta, il direttore generale e l’amministratore delegato. In questo senso non posso lamentarmi. Con Pallotta parlo praticamente tutti i giorni e spesso vado a Boston o viene lui qui. Ogni settimana facciamo delle riunioni esecutive e restiamo in contatto, non è assolutamente un handicap il fatto che viva a Boston, che non sia qui, perché la comunicazione è frequente e come ho detto spesso viene lui a Roma o vado io lì".
Eusebio Di Francesco era la sua prima scelta quando è arrivato qui? "Sempre. Perché è un allenatore che mette insieme tutte le caratteristiche che cercavo. E’ un allenatore italiano, che conosceva Roma e aveva già fatto risultati nella sua carriera in panchina. Inoltre ha saputo valorizzare tutti i calciatori. Riesce a mettere insieme tutte queste caratteristiche, al punto che la prima volta che l’ho incontrato in riunione, tutti gli altri candidati alla panchina hanno smesso di esistere per me. E’ una persona ambiziosa, ma con tranquillità, non in maniera smodata. Credo che abbia trasmesso principalmente la sua credibilità e le sue capacità. E questo per un allenatore è fondamentale. Il mister è un gran lavoratore, che trasmette molto e che è molto tranquillo quando prende delle decisioni. E’ freddo da questo punto di vista, non si lascia trasportare dalle emozioni che possono esserci dentro una partita. Questo è importante per un allenatore, sapere quello che vuole, saper trasmetterlo ed essere sempre se stesso. I giocatori lo hanno capito e hanno compreso il messaggio, si è visto quest’anno in Champions League. E’ un allenatore che guarda in basso senza alcun problema. Non ha alcun timore. Di fatto al Sassuolo ha lavorato con molti ragazzi giovani ed è chiaro che qui alla Roma, quando il giocatore è pronto lo utilizza e gli dà spazio".
Il calcio e la tecnologia. Quest’anno in Italia si è usato il VAR e sono state prese decisioni importanti. In Spagna verrà utilizzato l’anno prossimo, ci anticipi a cosa andiamo incontro… "Sono un difensore del VAR al 100% e mi baso su dati oggettivi: quest’anno gli errori nel campionato italiano sono stati molti meno, così come le proteste. Gli episodi controversi si sono risolti al meglio. E’ evidente che serve un processo di adattamento che nel campionato italiano stiamo ancora effettuando. Credo che l’anno prossimo sarà migliore. Ricorrere alla tecnologia affinché ci siano meno errori mi sembra un successo. Magari mi sbaglio, ma anche in Spagna la gente sarà contenta, anche se all’inizio sarà complicato perché si tratta di una novità".
A lei piace anche molto il Big Data. La Roma era già attrezzata o ha dovuto allestire tutto? "Sono innamorato del Big Data e dell’uso dei dati. Quello che ho trovato a Roma è un club che se possibile è anche più avanti di me. Si sente molto la presenza americana della proprietà e la convinzione di investire nella tecnologica. Non so se è uno dei club più all’avanguardia, ma sono sicuro sia uno di quelli più sviluppati per usare i dati nel prendere decisioni. Quando sono arrivato qui ho trovato il mio habitat, perché non solo credono in quello che fanno, ma hanno anche i mezzi per farlo. Ci affidiamo a gente molto capace, perché ai dati possono accedere tutti, la cosa difficile è capire quali ti servono e quali no. Una partita genera sette milioni di dati ed evidentemente non ti servono tutti, devi sapere quali usare per prendere una decisione. E questo è il difficile".
Il prossimo Messi verrà individuato con il Big Data? "No, non credo. Perché non tutti i dati servono alla stessa cosa, ad esempio, se cerchi il profilo di un giocatore non ti servono gli stessi dati che usi per un altro profilo. Non credo funzioni così. Si sbaglia di meno quando si va a cercare un profilo. Per fare un esempio, se cerchi un esterno destro molto bravo nel crossare perché hai un attaccante forte di testa, come Dzeko, il dato ti aiuta ma devi comunque vedere il giocatore. Con il dato magari scopri che Pepito Perez ha il 52% di cross ben realizzati, però a questo punto perché non andare a cercarne uno con il 72%? Questo aiuta, ma è solo un punto di partenza. Dopo ci sono molte altre cose da vedere, non solo il dato individuale: ma anche quello collettivo, all’interno della squadra. Però sicuramente aiuta".
Con i risultati in Champions League non dovrà vendere per sistemare i conti. Potrà mantenere la spina dorsale della squadra da cui partire e crescere ancora? "Adesso siamo tranquilli perché la pressione del Fair Play Finanziario è molto minore. Questo ci permette di agire con maggiore tranquillità. L’idea in estate è sempre la stessa, quella che diciamo sempre noi direttori sportivi, rafforzare la squadra per renderla più competitiva".