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La Gazzetta dello Sport

(07/12/2017)

Romanzo d’impresa

In fondo bastava cercare su whatsapp, che quando non va in down sa essere spesso d’aiuto. Eusebio Di Francesco l’ha messo nero su bianco, quell’aggettivo che sceglierebbe in mezzo a mille altri per definire se stesso: resiliente. Resiliente lui, resiliente la sua Roma, così capace di resistere alle forze contrarie, così felicemente tenace da appoggiarsi a quelle stesse forze fino a farne un trampolino per le proprie idee. «Il 24 agosto abbiamo scelto di avere rispetto, ma non timore – ha scritto l’allenatore su twitter –. Il 5 dicembre abbiamo festeggiato in campo, con i nostri tifosi, il primo posto. Grazie per il sostegno, è solo un passo, non accontentiamoci!». L’arcobaleno di 103 giorni, dal sorteggio alla vetta del girone, ha costretto i tifosi della Roma a cambiare le prenotazioni aeree per maggio, da Lione a Kiev, dalla finale di Europa League – perché la retrocessione nel torneo minore dopo l’accoppiamento con Atletico Madrid e Chelsea pareva eventualità ineluttabile – ai sogni di gloria che si allungano fino all’Ucraina: così va da queste parti, hai voglia a cercare il «grigio» di Monchi.
 
LA VISIONE – E infatti quel grigio era nero, ad agosto. Per tutti, sotto sotto pure per Francesco Totti, che con una manina meno fatata dei suoi piedi a Montecarlo aveva piazzato la Roma nel girone con Simeone e Conte, l’uomo due volte finalista nelle ultime quattro edizioni e il tecnico fresco campione d’Inghilterra. «Me gusta», twitta Antoine Griezmann con la foto del girone. Che si fa? Si partecipa o no? Il partito del «mai una gioia» già se la ride. A Trigoria Di Francesco legge il girone e a chi fa la faccia triste sussurra: «Difficile, vero. Ma questo Atletico è al di sotto del livello di gioco espresso nelle ultime stagioni». Lo guardano con la faccia un po’ così. Alla squadra ripete più o meno lo stesso concetto. E aggiunge: «Per vincere ci si deve preparare, allenatevi al meglio». Parole, certo. A cui devono seguire i fatti, altrimenti a chi vai a raccontarla poi. L’esordio è proprio con l’Atletico Madrid, che arriva all’Olimpico con il petto gonfio: «Prima o poi vinceremo la Champions, abbiamo tutto per riuscirci», dice Simeone. Dodici settembre, l’Atletico ha una maglia gialla che fa spavento. Non fosse per Alisson, sarebbe sconfitta e sconfitta pure pesante: nove parate nove, miracoli che neppure a Lourdes, sensazione potente di una Roma impotente. Dzeko è la faccia del centravanti che non riceve un pallone giocabile, tanto che a fine partita alza la voce: «Non si può giocare così male. Quest’anno per me sarà più difficile: sento la mancanza di Totti e Salah, Nainggolan ora è più distante. Non ho toccato tanti palloni, spero di farlo nelle prossime partite».
 
CRESCENDO – È un colpo basso che Di Francesco non si aspetta. Anche perché il progetto era chiaro: «Non l’avevo detto ai giocatori, di solito non ragiono così. Ma questa partita, più che a vincerla, ho pensato a non perderla». Di Francesco resiste. Resiliente. È qui che conquista lo spogliatoio: si chiarisce con Dzeko e lo spinge a rettificare, mostra intelligenza quando in campo sceglie la difesa a tre. Il 27 settembre, a Baku, la Roma vince soffrendo con il Qarabag, che due settimane prima ne aveva presi sei dal Chelsea. Dubbi, anche con quattro punti in portafoglio. Il bivio vero allora è a Londra, ombelico del mondo. Occhio alle date, è il 18 ottobre. Quattro giorni prima la Roma era stata colpita e affondata dal Napoli all’Olimpico. Nel secondo tempo, però, la squadra come d’incanto s’era scrollata di dosso le paure e aveva cominciato a giocare con il «DiFra style». Non era bastato per pareggiare con Sarri, è sufficiente per svoltare. Resilienza Roma. Allo Stamford Bridge Eusebio predica nello spogliatoio: «Ripartiamo dal secondo tempo,facciamo noi la partita». Ne esce una sinfonia, Di Francesco dirige e Dzeko – proprio lui – esegue. Il 3-­3 è persino carico di rimpianti, ma indica la via: ora alla qualificazione credono tutti, specie se l’Atletico a Baku non va oltre il pareggio. Il resto lo fa Halloween: le streghe le vede Simeone, che bissa la X con gli azeri. E streghe pure all’Olimpico per Antonio Conte, che dalla Roma ne prende altri tre ma senza riuscire a battere Alisson. È la cassaforte del passaggio del turno, è il calcolo che a Trigoria nessuno ammetterà, eppure risulterà perfetto. Perché perdere a Madrid alla quinta giornata aumenta il dispendio nervoso ma allo stesso tempo consente all’Atletico di andarsi a giocare le chance all’ultimo turno a Londra. Perfetto antipasto del giorno 103, il primo posto nel girone, tre match su sei col portiere imbattuto. La volta prima, la Roma quei tre clean sheet li aveva messi su in 39 partite. «Che questi risultati siano la normalità», è l’augurio del d.g. Baldissoni. Juan Jesus, intanto, accende il telefono e twitta a Griezmann: «No gusta mas», non ti piace più?

D. Stoppini

 


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