Ora Mkhitaryan crea dipendenza

«L’armeno che va come un treno», e che molti connazionali candiderebbero alle prossime elezioni presidenziali, è l’uomo-squadra per eccellenza. Per citare un paragone, con le dovute differenze, Henrikh Mkhitaryan sta avendo sul calcio di oggi un impatto simile a quello che Muhammad Ali ebbe nella società americana degli anni ’60 e ’70: come il celebre pugile, il fantasista della Roma è uno sportivo impegnato su tematiche politiche (come dimostrano la presa di posizione sulla guerra nel suo Paese e le altre battaglie sociali combattute in questi anni), oltre ad aver fatto suo lo storico motto “vola come una farfalla, pungi come un’ape”. In campo fa proprio questo: vola e punge. 

 

Vola come una farfalla quando si libera dalle marcature e crea gioco dalla trequarti in su, punge come un’ape quando decide di caricarsi la squadra sulle spalle per condurla alla vittoria. Valga come esempio questa settimana: all’Olimpico contro il Benevento ha mandato in porta due volte Dzeko (prima doppietta stagionale), a Berna in Europa League è entrato a mezz’ora dalla fine e ha disegnato un cross perfetto per il gol-vittoria di Kumbulla. La sua leadership tecnica è sotto gli occhi di tutti. Il calcio è un linguaggio universale (a proposito Mkhitaryan parla otto lingue: armeno, tedesco, inglese, ucraino, francese, russo, portoghese e italiano) e il classe ’89 ha dimostrato di conoscere tutte le sfaccettature del gioco al punto da essere stato provato, in estate, anche come centravanti. Gli esperti chiamano questa figura “il calciatore elastico”: una definizione utilizzata per chi si adatta ai moduli, ai Paesi, all’ambiente e ai compagni sempre con la stessa facilità disarmante. (…)