Paulo Roberto Falcao ha rilasciato un'intervista all'edizione odierna del Corriere della Sera. Il Divino ha ricordato alcuni momenti della sua Roma e ha parlato anche dell'attualità e delle prospettive della squadra di Gian Piero Gasperini. Ecco alcuni passaggi delle parole dell'ex giallorosso.
Calma pure con la Roma prima in classifica, allora.
"Calma sì, ma pure consapevolezza: la squadra funziona ed è una cosa intera. E ha un grande allenatore in panchina. Con Gasperini la Roma è in buone mani; non combini quel che ha combinato con l'Atalanta, e così a lungo, se non hai un valore riconosciuto".
E' da scudetto?
"Roma, Napoli, Inter e Milan: il campionato non decresce da questo quartetto. Vedo la Juventus più indietro, non solo in termini di risultati. Il Milan invece è molto pericoloso, la partita di San Siro sarà una grande sfida: avrà già fatto un ottimo lavoro, peccato di riguardo, lui è uno che sa stare nelle grandi squadre".
Accettiamo un giochino, di quelli un po' banali: trova analogie tra questa Roma e la sua?
"Questa Roma sorprende, la mia invece costruì per step, uno step dopo l'altro per riuscire a fare una cosa di diverso rispetto al calcio che si vedeva abitualmente. Liedholm portò la zona. E anche se aveva già tanta classe in Brasile marcavamo a uomo, non sapevo che ci fosse un altro modo di giocare al calcio. Poi, dopo Nils, in Serie A arrivò Sacchi e da allora tutto è cambiato".
Qual è la prima cosa che disse Liedholm appena arrivato a Roma?
"Me lo immaginai il Barone (ride, ndr). Trovò un interprete per comunicare, ma non funzionò molto. Poi vidi che lui mi vedeva se stesso in campo. E non sbagliava. Io ero stato da giocatore il riferimento per il calcio, il riferimento per il successo in vita mia una persona come lui in grado di essere intelligente e vivace. Lui sì. Lo amavo, di un amore vero".
Perché finì male la sua storia con la Roma? Colpe dell’Inter e del ginocchio?
"Mi faccia chiarire una cosa: non finì male, ma non mi intesi bene con l’Inter, quella sì. Avevo firmato con l'Inter parlando con Colombo e Altobelli. Ma volevo restare a Roma, solo che non mi si fece un contratto. E io non gioco per scherzare".
Allora fu per il ginocchio.
"L'addio non fu una mia scelta. E sarei potuto tornare, da allenatore. Era tutto fatto. Gennaio 1991, Dino Viola era a Cortina d'Ampezzo e convocò il mio commercialista Mario. Tutto ok, contratto di due anni. Avrei preso l’aereo per andare a firmare, ma proprio in quei giorni Viola morì".
E il timone passò alla moglie Flora.
"Mi chiamava figlio, faceva ingelosire Ettore e Riccardo".
Siamo in terra di verità: il rigore non tirato contro il Liverpool in finale di Coppa Campioni?
"La ricorda la finale di Coppa Italia col Torino del 1981? Vincemmo col Torino ai rigori, io tirai il quinto. Avevo il 5 sulla maglia, Liedholm era scaramantico… ma col Liverpool comunque il quinto l’avrebbe tirato Chierico. Io non potevo. Camminavo in campo, ero morto".
E' il suo più grande rimpianto?
"Non è il rigore. È non averla giocata, quella partita. Scesi in campo con una puntura. L'effetto finì dopo i tempi regolamentari".
Nela ha detto che non la perdona, però.
"Non ho nulla da dire sulle sue parole".
Le piace la Var?
"Beh, avrei vinto almeno uno scudetto in più se ci fosse stato ai miei tempi. Il gol annullato a Turone è scandaloso ancora oggi".
Il suo gol più bello.
"A Pisa. E in tv, con l'intervista a Minoli, dopo Roma-Juve".
Che effetto le fa Ancelotti che ha il Brasile?
"Ogni tanto parliamo e scherziamo, poi lui ha un seguito incredibile. La gente lo ama. Può vincere il Mondiale".